Yoga e arte si incontrano nella meditazione anche se apparentemente sembra non abbiano molti punti in comune. Nell’immaginario generale lo yogi è un individuo centrato ed equilibrato mentre l’artista sembra essere costantemente tormentato dai tumulti interiori. In parte è vero ma non sempre le cose stanno in questo modo.

Facciamo un po’ di chiarezza…

 

La funzione della meditazione

 

Nella tradizione filosofica induista, da cui lo yoga deriva, si persegue l’abbattimento dell’ego a favore del ricongiungimento dell’individuo con il Tutto universale, Brahman.

Il fascino di questa disciplina sta infatti esattamente in questo senso di non separazione delle cose. La realtà empirica non è composta da enti distinti e separati ma è la manifestazione di un Tutto. Nel Samkya, un’antica filosofia indiana che precede il Vedanta, si parla infatti di Prakriti e Purusha.

Purusha è la coscienza cosmica spirituale che tutto permea, sempre esistita e che sempre esisterà, di cui la coscienza individuale è un mero riflesso; essa è l’anima, la luce della pura consapevolezza.

Pakriti è l’energia cosmica materiale, il tessuto della creazione, che prende forma nella Natura. Si tratta di una materia inerte e primordiale, un potenziale che viene animato da Purusha.

L’essere umano è dunque una parte di questa energia cosmica naturale, plasmato da questa coscienza spirituale, che nell’arco della propria vita terrena ad essa va e ad essa ritorna nel ciclo di nascita e morte (Samsara).

Uno degli obiettivi dello yoga è pertanto l’interruzione di questo ciclo attraverso un percorso di crescita ed evoluzione spirituale per tornare a Brahman, l’unità cosmica.

Questo cammino dal fisico all’animico può essere percorso attraverso la meditazione.

Lo yoga dunque è meditazione, a cui si uniscono un insieme di altre pratiche fisiche e spirituali che dovrebbero supportare il praticante nel meditare. Tuttavia dare una definizione di meditazione o insegnare a un individuo a raggiungere il Samadhi , l’unione con il Tutto, è impresa tutt’altro che semplice. Il saggio Patanjali è forse l’unico che con i suoi Otto Passi sia riuscito a spiegare cosa sia la meditazione e quali siano le modalità concrete per arrivare a quello stato di coscienza in cui l’ego individuale è dissolto e siamo nel Tutto, siamo il Tutto.

In ogni caso, per quanto lo yoga sia una disciplina millenaria, ad oggi in Occidente è ancora difficile far comprendere a pieno questi concetti soprattutto a causa del differente stile di vita che la nostra società ha adottato nel corso dei secoli, in cui l’avanzare dell’approccio scientifico – positivista ha determinato l’allontanamento graduale dalle pratiche spirituali e religiose.

 

Yoga e arte si incontrano nella meditazione: ma come?

 

Non è sicuramente questo il contesto in cui avviare un’analisi sul concetto di Arte, se non definire in senso lato i confini di questa attività umana che consiste nell‘esprimere attraverso differenti mezzi materiali (e non) concetti, sensazioni ed emozioni.

Quello su cui desidero soffermarmi, facendo arte quotidianamente, è lo stato interiore in cui l’individuo è immerso durante il processo di creazione di un’opera.

Praticando meditazione mi sono resa conto che il processo creativo attiva dei meccanismi interiori che sono molto vicini agli stadi che precedono la meditazione.

Per essere più precisa ho riscontrato dei punti di contatto tra quello che Patanjali descrive come Dharana, uno stato di concentrazione senza distrazioni esterne in cui i sensi sono ritirati e si è completamente rivolti verso l’oggetto della meditazione, e gli “Stati di Flusso” descritti dalla letteratura psicoanalitica contemporanea in relazione agli studi effettuati su campioni di artisti e sportivi.

Nel celebre saggio “Intelligenza Emotiva” del noto psicoterapeuta statunitense Daniel Goleman lo stato di flusso viene descritto riportando la testimonianza di un compositore che descrive la propria esperienza creativa:

Ti trovi in un tale stato di estasi che ti senti quasi come se non esistessi. L’ho sperimentato diverse volte di persona. La mia mano sembra non avere legami con me e io non ho nulla a che fare con ciò che sta accadendo. Me ne sto semplicemente seduto lì a guardare, in uno stato di timore reverenziale e meraviglia. E tutto questo poi scorre via dileguandosi.”

 

 

Gli studi accademici sul flusso

 

Gli “Stadi di flusso”riconducibili all’arte sono stati ampiamente descritti da Mihaly Csikszentmihalyi, uno psicologo della Chicago University che nel corso di vent’anni di ricerche ha analizzato molte prestazioni.

Sembra che nell’esperienza del flusso l’individuo percepisca una strana forma di gioia spontanea simile ad una sorta di rapimento. In questa condizione l’attenzione è concentrata sul gesto e le percezioni sono riconducibili solo ad esso. Ciò determina un distacco dall’ambiente esterno facendo perdere il senso del tempo e dello spazio. L’individuo si disinteressa di se stesso, si spoglia dell’ego e di tutto ciò che esso comporta. Nel flusso, l’attenzione è rilassata se pur altamente concentrata.

Sembra che di questi stati molto simili a quelli descritti dai mistici orientali ci sia traccia anche nella letteratura classica relativa alle tradizioni contemplative, in cui sono descritti condizioni di assorbimento mentali sperimentati e descritti come pura beatitudine.

Gli studi di Csikszentmihalyi sugli artisti hanno in un certo senso fatto decadere l’idea dell’artista come soggetto narcisista ed egocentrico portando all’attenzione una tesi in qualche modo già espressa nell’arte orientale e da alcuni personaggi illuminati come Wassily Kandinsky nel suo “Lo spirituale nell’Arte”, per la quale l’arte è una manifestazione dello Spirito e l’artista una sorta di “canale”, l’arte si serve dell’artista.

Csikszentmihalyi in uno studio su duecento artisti compiuto a distanza di diciotto anni dal momento del diploma in accademia, aveva constatato che solo coloro che avevano sperimentato la gioia pura e semplice del dipingere con relativa esperienza di flusso erano diventati artisti nella vita di tutti i giorni. I soggetti che avevano attinto le proprie motivazioni nei sogni di fama e di denaro in massima parte avevano abbandonato l’arte.

È possibile dimostrare dunque che yoga, arte e meditazione abbiano dei considerevoli punti di contatto in quanto pratiche che determinano necessariamente un profondo viaggio interiore.

Inizialmente la meta sembra differente e i mezzi di trasporto anche ma non sempre ci è dato sapere dove un cammino possa portarci. Credo poi sia l’intraprendere il viaggio quello che conta prestando attenzione alle varie tappe e a ciò che si incontra sulla propria strada.